Un’altra morte sul lavoro scuote la Calabria e l’Italia intera. Un’altra vita spezzata in un cantiere, in un contesto in cui la sicurezza dovrebbe essere la priorità assoluta. Questa volta la vittima è Salvatore Cugnetto, 55 anni, operaio lametino con esperienza, deceduto in circostanze ancora da chiarire durante un intervento nel cantiere del viadotto Friddizza, lungo l’autostrada A2 del Mediterraneo, nel territorio di Dipignano, alle porte di Cosenza.
Secondo quanto ricostruito, l’uomo è stato colpito da un violento getto d’acqua ad alta pressione sprigionato da una lancia idrodinamica che stava maneggiando. La pressione ha scagliato la lancia contro il suo torace, uccidendolo sul colpo. Le indagini sono in corso per stabilire se si sia trattato di un errore umano, di un guasto meccanico o di un problema più profondo legato alla gestione della sicurezza nel cantiere.
La denuncia del sindacato: “Ogni volta muore il figlio di nessuno”
Di fronte all’ennesima “morte bianca”, Benedetto Di Iacovo, segretario generale nazionale di Conf.I.A.L., ha voluto esprimere con forza la posizione del sindacato, denunciando un sistema che troppo spesso scarica le responsabilità su chi non ha voce:
“L’ennesima tragedia sul lavoro rappresenta uno schiaffo alla dignità di migliaia di lavoratori onesti di questo Paese. Ogni volta muore il figlio di nessuno.”
Parole dure, che rispecchiano la frustrazione e la rabbia di chi da anni denuncia l’assenza di controlli reali, l’opacità negli appalti e la superficialità con cui spesso vengono gestite le norme sulla sicurezza.
Una filiera di responsabilità da chiarire
Chi ha fornito l’attrezzatura? Chi ha verificato la manutenzione? Chi ha aggiornato il piano di sicurezza del cantiere? Chi doveva garantire i dispositivi di protezione individuale? Chi ha la responsabilità dell’appalto e del controllo dei subappalti?
Sono queste le domande a cui Di Iacovo chiede risposte. Non basta, infatti, accertare l’errore tecnico o umano: bisogna ricostruire l’intera catena di responsabilità, che va da chi appalta a chi esegue, passando per chi dovrebbe vigilare.
“Non può restare estranea nessuna figura coinvolta. Deve assumersi le sue responsabilità in solido chiunque abbia avuto un ruolo in questa tragedia, a cominciare dall’Anas e dal committente dell’appalto.”
Conf.I.A.L. sottolinea come le inchieste non possano più fermarsi ai singoli operai o a qualche tecnico di basso livello, mentre le grandi società che gestiscono miliardi in appalti continuano a non pagare mai il prezzo delle proprie omissioni.
Il nodo sicurezza nei cantieri
L’incidente di Dipignano riaccende i riflettori su un tema drammaticamente attuale: la sicurezza nei cantieri pubblici. Nonostante i protocolli, i corsi, i regolamenti e le certificazioni, il numero delle morti sul lavoro in Italia continua a essere inaccettabile.
Solo nel 2023, secondo l’INAIL, si sono registrate oltre 1.000 morti bianche nel Paese. La Calabria, in particolare, continua a essere tra le regioni con la più alta incidenza di infortuni gravi nei settori dell’edilizia e dei lavori stradali.
Episodi come quello di Salvatore Cugnetto dimostrano che la sicurezza non può essere trattata come un optional o come un mero adempimento burocratico. Va interiorizzata, verificata, esercitata con rigore quotidiano.
Conf.I.A.L.: “Subito un piano straordinario di controllo nei cantieri”
Alla luce di quanto accaduto, Di Iacovo rilancia la proposta di un piano straordinario di controllo e vigilanza nei cantieri pubblici, con ispezioni a sorpresa, audit indipendenti e pubblicazione periodica dei risultati.
Non solo: Conf.I.A.L. chiede che venga istituito un fondo nazionale per la sicurezza nei lavori pubblici, finanziato da una quota obbligatoria dei grandi appalti, da utilizzare esclusivamente per la formazione, il monitoraggio e l’assistenza ai lavoratori.
“Non è accettabile che i colossi restino impuniti mentre le colpe ricadono sempre sull’anello più debole della catena”, ha ribadito il leader sindacale.
Una morte che non può passare sotto silenzio
Salvatore Cugnetto è morto facendo il suo lavoro, come tanti altri operai che ogni giorno entrano nei cantieri senza sapere se torneranno a casa. A lui, come a tutti coloro che hanno perso la vita sul lavoro, è dovuto rispetto. Ma il rispetto, da solo, non basta. Occorre giustizia. Occorre prevenzione vera. Occorre responsabilità collettiva.
Conf.I.A.L. continuerà a battersi perché tragedie come questa non vengano archiviate come fatalità. Perché il lavoro sia davvero un diritto e non una condanna.